martedì 18 febbraio 2014

STONER

Copio ed incollo da http://lespugnenonhannogiornateno.blogspot.it/



Con Stoner, preparatevi ad andare in bianco.


Mi è sempre parso che iniziare un libro, sia come salire su un treno. Ci si sale sopra, ci si sceglie un posticino vicino al finestrino e si guarda fuori. All’inizio è pur vero che state fermi. Ma fermi fermi. Allora guardate il cartello blu della stazione, i ritardatari che corrono, i fidanzati che si salutano, insomma vi abituate all’idea del viaggio. Poi il treno parte, ma non veloce, anzi, molto molto lento; è una cosa che quasi vi irrita, siete dentro quei fastidiosi momenti in cui cambiate continuamente posizione, quelli in cui studiate i vostri occasionali compagni di viaggio nel vagone, e riguardate fuori, ma riuscite ancora a vedere il cartello blu e i fidanzati che salutano con la mano la dolce metà viaggiante. Poi lentamente ci si avvia, sfila la periferia, o forse i campi; è ciò che aspettavate, vi mettete più comodi , allungate le gambe, e controllate se ci sono chiamate sul cellulare. E quando meno ve lo aspettate, il treno prende velocità, e voi questa volta guardate al finestrino appoggiando la testa, oppure il naso. E il paesaggio, filtrato dal riflesso del vostro viso, dà ufficialmente inizio alla sfilata, fa bella mostra di sé in tutte le sue sfaccettature; vi stupisce con pareti di roccia tutte minacciosamente uguali, e vi sorprende con inaspettate colline dolci, vi prende in giro con gallerie improvvise, e vi acceca con l’azzurro del mare. E voi vi ci perdete dentro. È iniziato il viaggio, e voi incominciate finalmente ad apprezzarlo. Coi libri è un po’ la stessa cosa. C’è quella fase di rodaggio in cui dovete ambientarvi e abituarvi ai personaggi, ai caratteri, ai visi, allo stile del paesaggio, e dopo vi ci trovate immersi trasognati. È un processo lento ,ma necessario. Altrimenti vuol dire che il libro non fa per voi e che siete rimasti alla stazione per via di uno sciopero dei mezzi.

Ma con Stoner invece no. 

Con Stoner è come essere in cima a una montagna. E inciampare. E cadere. E scendere giù dalla montagna, veloci fin da subito. Solo che siete a piedi, e non potete gestire la vostra discesa non programmata. Vi trovate a rotolare, e rotolando vi ingrossate. All’inizio siete piccole palle di neve che scivolano via. La candida assenza di sussulti che movimentano la vostra discesa, vi sconcerta. E vi dà modo di guardare il paesaggio, rassicurati dal minimalismo lineare di una storia che sembra banale. Eppure non vi accorgete neanche di quante cose vi rimangono appiccicate addosso mentre scendete giù. Interi pezzi di vita di Stoner vi aderiscono sul corpo e vi riempiono, e voi diventati sempre più grossi e più densi. E le sue giornate vi scorrono sotto le mani, mani che non hanno più voglia di resistere alla discesa, ma accarezzano il manto nevoso della storia, quasi a consolarla. E le sue decisioni si impigliano sulle vostre sopracciglia e vi pesano all’altezza dello sguardo. E le sue solitudini, i suoi successi e insuccessi, vi si infilano nelle tasche. E non si sa come, e non si sa quando, a un certo punto, la discesa è già finita. E voi non vi siete schiantati contro il tronco di un albero. Vi siete mollemente fermati sul terreno solido della parola fine. Solo che ora, siete gonfi di sensazioni impacciate, contrastanti, e pesanti, irrinunciabili, incantevoli, e strazianti.

E a quel punto non è che vi resti molto da fare. Una volta presa coscienza che Stoner vi si è adagiato e depositato dentro, o risalite in cima e ricominciate la discesa, oppure vi sciogliete in pianto come neve al sole. 

E in ogni caso, mai sarà così doloroso, tornare nuovamente a bassa quota, in un mondo dove Stoner non c’è. 


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