lunedì 12 giugno 2017

IERI SERA

IERI SERA

ieri, serata molto bella in compagnia di Simone, Filippo, miei nuovi amici.
Conosciuti da Poco tempo, uno, Simone, è napoletano mentre Filippo è milanese, hanno due cagnolini.

Abbiamo mangiato fuori, insieme a tutta la mia famiglia.
Siamo stati molto bene e mi sono goduta la loro compagnia; spero di passare altre serata come questa. Abbiamo riso e ci siamo raccontati. Abbiamo scherzato molto ed il tempo è volato via, come succede solo nelle belle occasioni.

a presto amici miei.

laura

lunedì 29 maggio 2017

Sabina Santilli : la chiamavano «montone»

Sabina Santilli la chiamavano «montone»


copio e incollo da VITA

Accade spesso. Il nomignolo appioppato da un bambino coglie l’essenza delle persone più di un trattato di ontologia. Anche con quella ruvidezza che spesso appartiene ai bambini nel dare nome alle cose. Le sue amiche d’infanzia, a San Benedetto dei Marsi, Sabina Santilli la chiamavano «montone». Perché era ostinatamente silenziosa, ma anche incredibilmente testarda, intraprendente, coraggiosa, volitiva. Sabina era sorda e cieca. Da un giorno all’altro, per via di una meningite, perse in un colpo vista e udito: era il venerdì santo del 1924 e Sabina aveva appena sette anni.
Quando a fine estate Rossano Bartoli, segretario generale della Lega del Filo d’Oro, mi propose di scriverne la biografia, non sapevo nulla di Sabina Santilli, non avevo mai incontrato un sordocieco e persino il presentarmela come la «Helen Keller italiana» mi diceva poco, se non la sensazione claustrofobica con cui avevo visto il film Anna dei miracoli. Oggi che quel libro, che abbiamo intitolato "Le mie dita ti hanno detto", esce insieme a VITA, devo dire che Bartoli e la Lega del Filo d’Oro mi hanno fatto un regalo, perché mi hanno permesso di “vedere” un altro pezzetto di mondo.
Ho incontrato Sabina, che è morta nel 1999, attraverso il suo sterminato archivio privato, il ricordo affettuoso della sorella Loda e lo sguardo gemello di altri sordociechi che le sono stati amici e che in lei hanno soprattutto trovato l’esempio e il coraggio per uscire dall’isolamento (e non è una metafora) e diventare protagonisti della propria vita. Non aveva strumenti Sabina: donna, sordocieca, in un piccolo paese contadino dell’Abruzzo negli anni Venti. La cosa più naturale sarebbe stata rassegnarsi alla disgrazia, con una rassegnazione impotente o magari riconsegnata alla volontà divina. Invece Sabina riuscì a mettere in rete i sordociechi italiani, a dare visibilità all’esistenza dei «grandi sconosciuti», dei loro problemi e dei loro diritti, fino a creare nel 1964 la Lega del Filo d’Oro, la prima e unica associazione che si occupi di sordocecità come disabilità specifica.
Non aveva mezzi, agganci, conoscenze specifiche, ma non si fece spaventare. Sabina cominciò da sola, da quello che lei poteva fare, che era scrivere e scrivere e ancora scrivere in Braille, migliaia di puntini, lettere su lettere agli altri sordociechi per spronarli, rassicurarli, consigliarli. E portarli «su un piano di parità con gli altri», in un ideale di vita indipendente che lei, con una stupefacente modrena dialettica definiva come «essere capaci di stare con tutti». È questo l’eredità di Sabina, che travalica la storia sua personale e della Lega del Filo d’Oro e che ci mette, oggi, al riparo dalla rassegnazione.

sabato 20 maggio 2017